NON E’ TUTTO ORO QUEL CHE LUCCICA

1 secondo ago

Febbraio 2022

Marina Spadafora

A piccoli passi, l’industria del gioiello si sta avviando verso la sostenibilità

Ammettiamolo, siamo tutte un po’ gazze ladre: se qualcosa brilla ci attrae a livello subliminale. Sono opere d’arte in miniatura, denotano ricchezza, affermano uno status sociale e dichiarano amore da chi le dona a chi le riceve. Ogni anno più di cento milioni di carati di diamanti grezzi e quasi tremila tonnellate di oro vengono estratti dalle miniere di tutto il mondo.

Ma attenzione, non tutto ciò che brilla è etico o moralmente corretto.
I materiali preziosi usati per creare i gioielli che tanto ci affascinano spesso sono estratti in situazioni pericolose, tanto per le persone quanto per l’ambiente. Chi ha visto il film Blood Diamond – Diamanti di sangue con Leonardo DiCaprio si sarà fatto un’idea di cosa gravita attorno all’industria dell’estrazione di oro, argento e gemme preziose. Molte delle miniere da cui si ricavano questi materiali sono in zone di conflitto, con gli abitanti che subiscono abusi e vessazioni, mentre i re della guerra si arricchiscono alle loro spalle. E anche quando non è presente una guerra, le condizioni in cui lavorano i minatori sono troppo spesso veramente inaccettabili. Nelle miniere più piccole vengono usati i bambini che, senza alcuna protezione, si calano nelle viscere della terra per pochi centesimi. Popolazioni indigene vengono dislocate con metodi brutali se i loro villaggi si trovano sopra un giacimento. L’ambiente viene deturpato da miniere a cielo aperto che feriscono i crinali delle montagne e, quando le attività di estrazione vengono eseguite senza controllo, sostanze chimiche tossiche vengono rilasciate nei corsi d’acqua.

Ma tutto questo sta fortunatamente cambiando, perché i consumatori si sono fatti più esigenti e richiedono garanzie quando comprano gioielli. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ha messo in atto protocolli di controllo per un approvvigionamento responsabile dei minerali provenienti dalle zone di conflitto o ad alto rischio. L’associazione internazionale Human Rights Watch, che si occupa della difesa dei diritti umani, ha invece esaminato gli standard produttivi di tredici brand globali del lusso: dall’inchiesta è emerso che Tiffany & Co. riesce a tracciare completamente il proprio approvvigionamento d’oro e conduce regolarmente valutazioni sui diritti umani nelle miniere coinvolte.
Lo stesso vale per Bulgari e Chopard. Ma nel complesso il settore non riesce ancora a garantire la totale tracciabilità di tutti i materiali, e dei diritti dei lavoratori nell’intera filiera.

Questi dati sono stati resi pubblici proprio per dare l’opportunità ai consumatori di orientarsi al meglio quando decidono di comprare gioielli e orologi preziosi. A eseguire i controlli è anche il Responsible Jewellery Council, un’organizzazione non profit fondata nel 2005 con la missione di promuovere pratiche responsabili da un punto di vista etico, socialee ambientale, che rispettino i diritti umani, dall’estrazione alla vendita: oggi conta più di mille membri, che si appoggiano all’associazione per la due diligence sociale.

Ancora troppo pochi rispetto alle dimensioni di questo mercato.

Ci sono poi realtà più piccole e artigianali che producono in modo sostenibile e sono affidabili, certificate Fairtrade Gold e Fairmined, come Arte Facta, Ethical Jewels by Gioielleria Belloni, BaYou with Love by Nikki Reed, Louise Lanzi e Pippa Small.

Non dobbiamo dimenticare che se il settore sta cambiando il merito è anche di noi consumatori.
Perciò, la prossima volta che abbiamo voglia di qualcosa di prezioso e luccicante, rivolgiamoci a chi non nasconde segreti.

NATURAL FASHION
a cura di  
MARINA SPADAFORA Stilista e attivista green, è coordinatrice  per l’Italia  di Fashion Revolution,  movimento che si batte per una moda  equa e sostenibile